La grande Arte è meravigliosamente inutile. Non deve veicolare messaggi. Non deve asservire le mode o il mercato. Può solo superare se stessa.
La prima grande rivoluzione nell'arte si è verificata dopo l'invenzione della fotografia. Dopo secoli di arte "sacra" fondata, un po paradossalmente, sul criterio di verosimiglianza, l'arte viene esautorata dalla fotografia che rende possibile una verosimiglianza prima impensabile e, successivamente, la riproducibilità dell'immagine. Se da una parte questa invenzione libera l'arte dalla necessità di riprodurre la realtà, dall'altra parte inizia a mettere in circolo un germe che ai giorni nostri è diventato epidemico; la delega in nome dell'efficienza. Tuttavia è in questo periodo che vengono alla luce le opere di Van Gogh, Munch ed Ensor, precursori dell'espressionismo tedesco che sarebbe venuto di lì a poco. I dadaisti nascono in un periodo post-bellico agli inizi del secolo scorso e subito diventano quel "mostro che avrebbe sparso spazzatura sul suo cammino. Un sistematico lavoro di distruzione e demoralizzazione [...] che alla fine non è diventato che un atto sacrilego".

Non molti anni prima, Kandisky ci avverte che: "I periodi in cui l'arte non ha grandi uomini, in cui manca il pane metaforico, sono periodi di decadenza spirituale. Le anime continuano a cadere dalle sezioni superiori a quelle inferiori, e tutto il triangolo sembra fermo. Sembra abbassarsi e arretrare. In queste epoche silenziose e cieche gli uomini danno importanza solo al successo esteriore, si preoccupano unicamente dei beni materiali, e salutano come una grande impresa il progresso tecnico, che giova e può giovare solo al corpo. Le energie spirituali vengono sottovalutate, se non ignorate. I pochi che hanno ideali e senso critico sono scherniti o considerati anormali. Le rare anime che non sanno restare avvolte nel sonno e sentono un oscuro desiderio di spiritualità, di conoscenza e di progresso, infondono una nota di tristezza e di rimpianto nel grossolano coro materiale. La notte diventa sempre più fitta. Il grigiore si addensa intorno a queste anime tormentate e sfibrate dai dubbi e dalle paure, che spesso preferiscono un salto improvviso e violento nel buio piuttosto che una lenta oscurità.
L'arte, che in tempi come quelli ha vita misera, serve solo a scopi materiali. E poiché non conosce materia delicata cerca un contenuto nella materia dura. Deve sempre riprodurre gli stessi oggetti. Il "che cosa" viene eo ipso meno; rimane solo il problema di "come" l'oggetto materiale debba essere riprodotto dall'artista. Questo problema diventa un dogma. L'arte non ha più anima.
Su questa via del "come", l'arte procede. Si specializza e diventa comprensibile solo agli artisti, che cominciano a lamentarsi dell'indifferenza del pubblico. Poiché in tempi simili l'artista medio non ha bisogno di dire molto e gli basta un minimo di "diversità" per farsi notare e osannare da certi gruppetti di mecenati e conoscitori (il che può comportare grandi vantaggi materiali), una gran massa di persone superficialmente dotate si butta sull'arte, che sembra così facile. In ogni "centro artistico" vivono migliaia e migliaia di artisti, la maggior parte dei quali cerca solo una maniera nuova, e crea milioni di opere d'arte col cuore freddo e l'anima addormentata. La 'concorrenza' cresce. La caccia spietata al successo rende la ricerca sempre più superficiale. I piccoli gruppi, che casualmente si sono sottratti a questo caos di artisti e di immagini si trincerano nelle posizioni conquistate. Il pubblico, che è rimasto arretrato, guarda senza capire, non ha interesse per un'arte simile e le volge tranquillamente le spalle."
Purtroppo i dadaisti, in opposizione ad un arte dozzinale, consolatoria e priva di contenuti vi oppogono un anti-arte ancora più dozzinale, consolatoria e priva di contenuti. Curare un raffreddore con la decapitazione del malato. Sottovalutando (colpevolmente?) il mercato, che dopo un iniziale "sgomento" li ha fagocitati nelle sue spire, nasce 'abortito' questo movimento che, come il proverbiale topolino partorito dalla montagna, finisce per distruggere e demoralizzare, come si era preposto di fare, non la pseudo-arte di cui parlava Kandinsky ma l'arte in se e per se. Facciamo un salto di qualche decennio e veniamo al concettuale, a Joseph Kosuth e alle poche briciole di dignità rimaste all'arte. Kosuth definisce "concettuale" il suo proposito di eliminare definitivamente l'opera d'arte per rendere "arte" l' "intenzione di fare arte" privilegiando il concetto a discapito dell'opera. E come nel caso dei dadaisti, ma ancora più radicalmente, il concettuale finisce per spogliare l'arte di qualsiasi contenuto nell'esaltazione del narcisismo egomaniacale del sedicente artista, che arriva, 'orgogliosamente' , nel caso di Maurizio Cattelan, a dichiarare: "Non so disegnare, non so dipingere e non so scolpire. Le mie cose non le tocco proprio.".

La delega in nome dell'efficienza. Ma l'efficienza è di pertinenza delle macchine, non dell'uomo che è sovrabbondante, immisurabile e privo di senso. La gloria dell'uomo si manifesta nel centometrista che sente su di se tutti e dieci i secondi della sua corsa, per scendere sotto i quali sacrifica anni della sua vita, pagando in prima persona il prezzo della meraviglia che suscita. Quando vedo un ballerino classico non vedo solo ciò che accade in quel momento, vedo la somma di tutti i momenti precedenti in cui questo bambino apprende, poco a poco; come rendere il proprio corpo elastico, le posizioni di base, come organizzare i propri movimenti con grazia, e via via, lasciando che il suo corpo, attraverso anni di pratica sofferta, apprenda e riesca a vivere quello che la sua mente riesce solo a immaginare, fino ad arrivare ad oggi, in questo momento, che posso esperire per procura, in cui questi movimenti si organizzano 'naturalmente', apparentemente senza sforzo, a formare una serie aggraziata, grazie alla quale, nel tempo relativamente breve in cui si svolge, si può registrare un idea di bellezza.
Se noi togliamo l'opera d'arte dall'arte, non ci rimane arte, ci resta l'intenzione, che si manifesta, nel visibile, in un assemblato che di poetico non ha più nulla, e di rivelato ha fin troppo. Come se Harry Houdini, dopo aver eseguito una delle sue mirabolanti fughe, si fosse intrattenuto col pubblico per spiegargli dettagliatamente come avesse fatto quello che ha fatto, uccidendo, di fatto, la magia. La potenza evocativa della poiesis sta nella trascendenza, ma la trascendenza si ottiene attraverso la conoscenza diretta, non delegata, e si manifesta verticalmente nell'opera d'arte, quando è frutto di amore, passione e di ingegno, a differenza dell'anti-arte che si manifesta orizzontalmente nella non-opera, frutto di ingannevolezza e di furbizia. Il progesso è verticale lo sviluppo è orizzontale. Questa assuefazione culturale alla negazione dei sentimenti, dovuta alla riduzione a merce dell'altro-da-se, si manifesta in un anti-arte autoreferenziale la cui vita è breve quanto l'interesse suscitato dal 'nuovo' che diventa immediatamente 'vecchio', in una mimesi vorticosa della realtà circostante, rispetto alla quale è passiva e complice, che produce e consuma senza sosta e in cui l'uomo, non si autodetermina, ma delega tornando ad essere funzionario della specie nel regno della soddisfazione immediata degli impulsi, dell'intraducibilità delle emozioni, e della desertificazione dei sentimenti.

Hegel dice: "Quando un fenomeno cresce da un punto di vista quantitativo non si ha solo un aumento in ordine alla quantità, ma si ha anche una variazione qualitativa radicale". Se lo spazio dell'arte, concepita, prodotta e fruita, è occupato quasi completamente dall'anti-arte, ne consegue che l'arte scompare, lasciando posto al nulla. E genera un senso comune ostile all'arte, che sguazza nell'appiattimento culturale e si identifica nell'orgoglio dell'ignoranza e dell'ignavia.
E' il mercato che si è appropriato delle questioni di senso, come di tutto il resto, e determina cosa è arte e cosa non lo è solo in forza del potere economico, unico attore del suo scenario.

Il secolo scorso ci ha donato, tuttavia, anche Francis Bacon, esempio, non unico, di come l'arte sia viva e goda di ottima salute, e possa ancora rappresentare la ricerca di una bellezza, non canonica, ma trascendentale.
"L'arte è la menzogna che ci permette di conoscere la verità" diceva Picasso e lo può fare attraverso la suggestione culturale scaturita dall'opera, che non può essere il guscio vuoto dell'intenzione, ma deve bastare a se stessa, dopo aver attraversato e interiorizzato la sua storia, per provocare autentici sommovimenti dell'anima.

Il re è nudo e l'evidenza è tale percui negandola, a questo punto, si è complici della menzogna e della malafede.

"L'avanguardia è nei sentimenti, non nelle forme" -Massimo Urbani

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